Sono quattro i sacerdoti indagati per il reato di riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla procura di Roma sullo Ior.
L’Istituto Opere di Religione, di fatto la banca del Vaticano, è al centro dell’attenzione del pm Rocco Fava e del procuratore aggiunto Nello Rossi per delle operazioni sospette effettuate presso alcune banche italiane dall’autunno del 2010.
L’Istituto Opere di Religione, di fatto la banca del Vaticano, è al centro dell’attenzione del pm Rocco Fava e del procuratore aggiunto Nello Rossi per delle operazioni sospette effettuate presso alcune banche italiane dall’autunno del 2010.
I preti iscritti nel registro degli indagati sono il 62enne monsignor Emilio Messina, dell’Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche ma residente a Roma, dove svolge il servizio di cappellano presso tre case di cura, don Salvatore Palumbo detto Mariano, nato a Ischia 49 anni fa ma anche lui in servizio nella capitale, dove regge l’’importante e popolosa parrocchia, molto attiva nel sociale, di San Gaetano, il catanese Orazio Bonaccorsi, 37 anni, già processato e assolto in primo grado in Sicilia per fatti analoghi ma che secondo piazzale Clodio autore di altre operazioni di riciclaggio attraverso conti Ior transitati su istituti di credito della capitale e infine, don Evaldo Biasini, 85 anni, ciociaro di origini e residente ad Albano Laziale. Biasini è conosciuto come don Bancomat.
Secondo i magistrati di Perugia che hanno condotto l’inchiesta sui Grandi Eventi, l’imprenditore della «cricca» Diego Anemone, avrebbe consegnato a don Biasini ingenti somme di denaro che il prete avrebbe depositato presso i suoi conti aperti allo Ior, trattenendo per sé una percentuale. Di questi e altri fatti correlati a quest’inchiesta tratterà stasera il programma di La7 «Gli Intoccabili» condotto da Gianluca Nuzzi, il quale ha voluto investigare, in particolare, sull’atteggiamento del Vaticano rispetto alle recenti richieste di accertamenti sui conti dell’Istituto Opere di Religione fatte dalle autorità italiane.
Com’è noto, infatti, proprio a seguito dello scandalo provocato dall’inchiesta dei magistrati romani – che portò all’incriminazione per violazione delle norme antiriciclaggio del suo direttore generale Cipriani e del suo presidente Gotti Tedeschi – la Santa Sede ha istituto dal 30 dicembre del sospette riferibili a cittadini vaticani nonché di dialogare, pur godendo di una piena autonomia e indipendenza, con le omologhe autorità dei Paesi esteri e dunque nella fattispecie italiana con la Uif, organismo della Banca d’Italia e preziosa fonte di informazioni per le Fiamme Gialle. Ebbene, nelle indagini a carico dei quattro preti, si è scoperto che ad eccezione delle operazioni svolte di don Palumbo, sulle quali il Vaticano ha fornito esaustive informazioni, per tutte le altre richieste avanzate dal pm Fava la Aif del Vaticano non avrebbe fornito a Banca d’Italia nessuna risposta, nonostante tali richieste siano state formalizzate ormai oltre 6 mesi fa.
La questione è cruciale, soprattutto nel caso di Monsignor Messina, che nel 2009 avrebbe garantito su transazioni di denaro per almeno 300mila euro effettuate da una donna con un nome falso, «Maria Rossi», che si era presentata agli sportelli come madre di un avvocato-faccendiere a cui Messina aveva dato delega di operare sul suo conto e che poi si è scoperto essere l’autore di una truffa ai danni dell’Inps. E tutto questo con il beneplacito del direttore generale dello Ior Paolo Cipriani il quale – saranno le indagini a stabilire se in buona o in cattiva fede – risulta agli atti aver garantito in forma scritta alla banca sull’identità della falsa Maria Rossi.