Nella dichiarazione con cui un portavoce, della Commissione europea, aveva commentato le Linee guida per una comunicazione inclusiva -e di cui ho riportato un brano nel mio ultimo intervento su Italialaica- compare altresì un interessante quadro statistico: «Circa il 44% degli europei è affiliato alla fede cattolica, e circa il 10% ciascuno a confessioni ortodosse e protestanti; circa il 26% non è affiliato ad alcuna religione (agnostica o atea), circa il 2% è musulmano, lo 0,6% buddista e circa un milione di ebrei”.
Ebbene, non stiamo a considerare di tale quadro la lingua italiana, non perfetta; nonché la stranezza di una quantificazione che, dopo aver proceduto per valori percentuali, passa quando si tratta di ebrei a numeri tout court (ho scritto d’altro canto alla Commissione europea, per conoscere le fonti dei dati riportati; ma la risposta è stata vistosamente fuori tema, giacché ha semplicemente riferito la dichiarazione con cui tali Linee guida venivano ritirate). Quanto allora, all’Italia, troveremmo per le persone cattoliche una percentuale simile a quella suddetta di 44%, se ci limitassimo a considerare la percentuale dei matrimoni cattolici; i quali negli ultimi anni, come si sa, sono scesi sotto la metà.
Ma va da sé che anche a riscontrare -in Italia, come nell’Unione Europea- una presenza cattolica invece superiore a 50%, ciò non rappresenterebbe un buon argomento perché la quantità si traducesse, in qualità (delle istituzioni e delle normative). Nel quadro statistico che ho riferito, la somma del ramo cattolico con quello protestante e quello ortodosso porta a 64%. Ma non perciò dobbiamo convenire con papa Ratzinger il quale insistentemente chiedeva di attribuire all’Europa, nella sua Costituzione, radici cristiane -richiesta che non è andata davvero incontro nel mondo politico italiano, a grandi rifiuti; accadeva anzi, di leggere sui giornali che il presidente della Repubblica cioè Ciampi assentiva-. Il testo di tale Costituzione verrà poi proposto alla ratifica dei vari Stati, con una formula per cui in modo più equilibrato ci si ispira alle “eredità culturali, religiose e umanistiche, dell’Europa”. Ma il processo di ratifica non andrà a buon fine e questa formula (insieme ed altri contenuti, del testo proposto) transiterà nel trattato di Lisbona; che -senza il rango, di Costituzione- entrerà invece in vigore.
Ebbene la coppia di aggettivi “religiose e umanistiche” trova, nel quadro statistico in questione, un riscontro: poiché accanto alle persone aderenti all’una o all’altra delle varie fedi, ecco un’abbondante quarta parte (e più della metà delle persone cattoliche) che in nessuna fede si riconosce.
Indubbiamente la visibilità e la rilevanza delle persone atee o agnostiche è minore, giacché manca un insieme di partiti il quale a loro si richiami ed il quale faccia da pendant, alle formazioni di ispirazione cristiana aggregate nel Partito Popolare Europeo (diverse delle quali però sono di Stati estranei all’Unione Europea, se non allo stesso continente europeo). Nulla di cui stupirsi, se una non affiliazione religiosa aggrega meno di un’affiliazione. Per di più nel Partito Popolare Europeo il collante non sta unicamente nel riferimento religioso: chi consideri la sua “Piattaforma” (adottata nel 2012) vede che ci si presenta come eredi dei “Democratici Cristiani Europei”, ma nel contempo ci si dichiara “partito del centro e del centro-destra”.
In seno al sistema partitico europeo, a prevalere è -nel complesso- questo secondo profilo del PPE. Ma è il primo profilo che viene in evidenza quando dopo la vicenda delle presentate e quindi ritirate Linee guida per una comunicazione inclusiva, il PPE chiede di discuterne in parlamento ed il suo capogruppo, il tedesco Weber, contestandole dice: “La religione non deve essere spinta solo nella sfera privata. Il dna dell’Europa è cristiano. E due terzi dei cittadini si considerano cristiani”. Ecco, appunto, che vediamo la qualità venir basata sulla quantità. Una quantità comunque in tal caso mal contata, giacché tali Linee guida sottolineavano di riferirsi al Natale festeggiato il 25 dicembre ed invitavano a tener conto anche di chi lo festeggiasse in data diversa: cosicché dai due terzi di Weber andrebbe sottratta la quota di quel cristianesimo ortodosso, per il quale il Natale cade il 7 gennaio.