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Quando per la religione si uccide

L’atroce episodio, che ha visto come vittima un insegnante francese, indica il livello peggiore cui può giungere il rapporto fra da un lato la dimensione religiosa; dall’altro, uno Stato il quale anche rispetto a questa dimensione tuteli le libertà civili.

Non stupisce che, per un rapporto del genere, sia stata la Francia a pagare negli ultimi anni un prezzo particolarmente alto. Tra i principali paesi europei, è quello in cui il principio dell’uguale libertà per tutti gli atteggiamenti in campo religioso risulta più radicato (né l’hanno sostanzialmente pregiudicato alcune affermazioni fatte, da Sarkozy, durante la sua presidenza). Le leggi francesi di separazione fra Stato e chiese, varate all’inizio del Novecento, hanno retto durante un secolo in cui stipulavano un concordato l’Italia fascista e la Germania nazista; in cui in Spagna vi era, il cattolicissimo Franco. Dal canto suo, non è equiparabile alla Francia -per il Novecento come per oggi- il Regno Unito: dove la chiesa anglicana è quella, di Stato.

Ci si potrebbe peraltro chiedere, come nell’ambito di una prospettiva laica vada valutata l’ingiuria (intesa anche come dileggio) verso una religione: ciò che appunto si considera all’origine del recente omicidio, così come della strage nella sede di Charlie Hebdo. Indubbiamente, tale ingiuria può ferire alcune sensibilità; cominciando dalla sensibilità di chi al tempo stesso abbia una fede religiosa e principi laici. Ma, altrettanto indubbiamente, una legge che sanzionasse ingiurie del genere porrebbe problemi di libertà (di espressione). Oltre che di uguaglianza, giacché andrebbero sanzionate anche le ingiurie verso una religione che avesse come aderenti, una famiglia soltanto; anche quelle verso una comunità, di persone atee… Diverso sarebbe, magari, il discorso se ci si ponesse sul piano di difendere minoranze sotto minaccia: se cioè si trattasse di sanzioni analoghe a quelle che in Italia si sta discutendo se introdurre, a tutela di atteggiamenti sessuali oggetto di aggressioni.

Ma quando di fronte ad ingiurie verso una religione, si commina -da parte delle istituzioni, o del singolo- la pena di morte, ci si mette ovviamente su tutt’altro piano. Quello che vede la vita come mero frutto di una religione: cosicché chi non è degno, di questa, non merita quella. È un piano sul quale ai giorni nostri troviamo soprattutto l’Islam. Ma non tutto, l’Islam: il Consiglio Francese del Culto Musulmano (ha preso vita da una legge varata pochi lustri fa affinché tale culto trovasse, con elezioni nel suo ambito, una qualche rappresentanza) ha dichiarato, dopo l’omicidio dell’insegnante, che “nulla può giustificare l’assassinio di un uomo”.

Sarà troppo, sperare che nell’Islam principi come quelli di tale dichiarazione abbiano sempre più spazio? Che in seno a questo culto non ci si limiti, piuttosto, a differenze connesse ai singoli Stati nei quali esso prevale? È appena il caso di ricordare, comunque, che anche per altre religioni assistiamo oggi nel mondo a rilevanti manifestazioni di prepotenza: come nell’India, del presidente Modi. Per non parlare della storia, del cristianesimo: c’è addirittura chi -lo storico tedesco Karlheinz Deschner- ha scritto un’opera, in numerosi tomi, dal titolo Storia criminale del cristianesimo…

Alessandro Fabiani

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