Nella rubrica RING le reazioni suscitate dalla presa di posizione di Norberto Bobbio
Le polemiche sulla storia
Se il Papa diventa revisionista
di Norberto Bobbio, da La Stampa (2-12-2000)
Per uno storico serio, che intenda fare onestamente il proprio mestiere, la «revisione» è addirittura un atto dovuto. Il racconto storico, detto un po alla buona, consiste di fatti e di interpretazioni dei fatti: la scoperta di un nuovo documento o della falsità del documento usato induce, anzi obbliga, lo storico a «rivedere» il testo. Così una nuova interpretazione del fatto, che viene a conoscenza dello storico o una vecchia interpretazione che gli era prima sfuggita, possono consigliarlo a proporre una interpretazione diversa, a compiere, ancora una volta, unopera di «revisione».
Sono cose note. Non è infrequente, e per nulla scandaloso, che nella nuova edizione di unopera storica, sia di storia politica, letteraria, o filosofica, si legga in copertina «Riveduta e corretta». Uno degli autori oggi maggiormente contestati, Augusto Camera, fa questa opportuna osservazione: «Dal presente nascono sempre nuove domande da rivolgere al passato e quindi il passato stesso viene riesaminato secondo sempre nuovi punti di vista».
A differenza della revisione, il revisionismo è una ideologia che, come tutte le ideologie, ha una funzione eminentemente pratica. Lo scopo pratico di una ideologia sta nellorientare il giudizio storico in un senso favorevole o sfavorevole a una parte politica, non attraverso la sola revisione di fatti o di interpretazioni, ma modificando e talora capovolgendo il giudizio storico consolidato. Proprio perché è una ideologia, al revisionismo si addice la tipica dicotomia di destra e di sinistra.
Delluso di questa dicotomia adduco un esempio attualissimo a proposito delle varie interpretazioni del Risorgimento: al principio del secolo si era affacciata alla ribalta della discussione storica una interpretazione del Risorgimento che era stata considerata di sinistra rispetto alla narrazione ufficiale, una interpretazione secondo cui il Risorgimento non era stato la «rivoluzione nazionale» ma era stato il fortunato risultato di una abile operazione diplomatica e militare della monarchia piemontese.
Recentemente è stata proposta con grande strepito una interpretazione del tutto opposta da parte di gruppi cattolici militanti, una interpretazione che non esiterei a chiamare di destra, secondo cui il Risorgimento è stato un movimento guidato da élites anticlericali, per non dire addirittura massoniche, il cui scopo ultimo era labbattimento del potere temporale dei Papi.
Mi pare che questo esempio ci aiuti a comprendere meglio la distinzione fra la pura e semplice revisione di una narrazione storica e una vera e propria opera di revisionismo che si ispira a due concezioni opposte, ideologicamente condizionate, del processo secondo cui si sarebbe dovuta svolgere la formazione dellUnità dItalia: attraverso la forza di un esercito regio anziché attraverso movimenti popolari spontanei, oppure contro i cattolici, invece che con la loro partecipazione. Le due operazioni revisionistiche oggi dominanti sono la rivalutazione del fascismo e la svalutazione o denegazione della Resistenza.
Della prima il più recente episodio è la proposta del controllo dei libri scolastici, avanzata da uno dei leader di Alleanza Nazionale, Francesco Storace. Quanto al secondo revisionismo, è anchesso di questi giorni il tentativo di mettere sullo stesso piano di «pari dignità» la lotta condotta dai partigiani per la liberazione dellItalia dalloccupazione tedesca e quella opposta dei militi più o meno volontari della Repubblica di Salò. Il tentativo è nato inintenzionalmente dalla tardiva confessione dello storico antifascista Roberto Vivarelli di aver militato nella prima gioventù tra i secondi. Ma questa dignità è sin troppo facilmente confutabile.
Come ho già scritto sulla Stampa basta porsi lovvia ed elementare domanda su quali sarebbero state le conseguenze della vittoria dei repubblichini alleati coi tedeschi, invece di quella dei partigiani combattenti dalla parte degli alleati nella guerra antinazista. Non sarebbe stata la perpetuazione, anzi il rafforzamento, del dominio del nazismo sullintera Europa? Nel clima di «restaurazione ideologica», occorre collocare anche linsistenza con cui si viene sottolineando da tempo con indignazione la pretesa o presunta «egemonia culturale della sinistra».
Che per anni, anche durante legemonia politica democristiana, la cultura sia stata in Italia prevalentemente di sinistra, è un fatto accertato. Che questa prevalenza della cultura di sinistra dipenda da una forzata, per non dire anche subdola, imposizione dei comunisti, è falso. Vi ha contribuito per anni la scoperta dellopera di un pensatore come Antonio Gramsci, la cui fonte è un marxismo liberamente interpretato alla quale non ha corrisposto dallaltra parte un autore che si possa a lui paragonare. Perché non ci si domanda come mai i maggiori scrittori italiani postfascisti, Calvino, Moravia e Pasolini sono stati di sinistra? Complotto, macchinazione, imposizione dei comunisti?
Per quel che riguarda il capitolo sul laicismo (che è laltro tema del convegno della Fondazione Nenni) mi limito a commentare larrivo di parlamentari da tutto il mondo per aderire alla proposta di un santo protettore fatto dal Papa. A parte losservazione che, con questa familiarità coi santi, Giovanni Paolo II dimostra di essere un perfetto Papa della controriforma, il fatto che alla elezione di santo protettore dei parlamentari sia stato chiamato Tommaso Moro, giustiziato con il taglio della testa per aver condannato lo scisma di Enrico VIII, ha qualche cosa, se non di macabro, di beffardo.
Tommaso Moro è stato un martire della fede: non si riesce a capire quale modello possa essere per uomini politici il cui impegno è rivolto a trattare tuttaltro genere di affari. E poi, non è pretendere troppo additare come modello ideale un martire? Per finire, Silvio Berlusconi ci ha fatto sapere recentemente, parlando ai ragazzi di Comunione e Liberazione, che il combattere contro il comunismo è un dovere morale. Ma dopo le sguaiataggini di Storace e le sciocchezze costituzionali di Bossi non è forse un dovere morale per noi usare tutti i mezzi che la democrazia ci consente per impedire al Polo di vincere le prossime elezioni?
La conseguenza di questa vittoria sarebbe inevitabilmente un governo con un presidente come Berlusconi, un vicepresidente come Fini, un ministro degli Interni come Bossi o Maroni. E perché poi Storace non potrebbe diventare ministro dellIstruzione o dei Beni culturali?