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La sindrome dell’oratorio

All’oratorio ci si andava per giocare. I genitori erano tranquilli a saperti all’oratorio, lontano dai pericoli della strada. Ma l’oratorio dalla strada non era poi così tanto differente, poteva capitarti di tutto, anche esperienze non proprio delle più gradevoli.

Ma all’oratorio c’era sempre un prete che a una certa ora riuniva tutti per la preghiera, si fermavano i giochi e ci si faceva il segno della croce e poi si recitavano un’Ave Maria, un Padre nostro, la preghiera all’Angelo custode, litanie e giaculatorie.

Siamo cresciuti sempre con la Chiesa intorno, con la Chiesa come panorama sociale, culturale, mentale. Condizionati, timorosi di chi sa quali condanne eterne ad abbandonare il credo che ci hanno inculcato fin dalla primissima infanzia. Puoi condurre una vita da ateo, ma stai sicuro che quando è ora di morire ti portano in chiesa a farti il funerale, tanto si sa che Dio ha un particolare riguardo per le scimmie pensanti.

Così è il nostro paese, un oratorio dilatato, continuo, diffuso, dove fermarsi e rivolgere un pensiero a Dio perché Dio è ovunque. I crocefissi nei tribunali, nelle scuole, negli ospedali, negli uffici pubblici. Se non è Dio c’è il suo Vicario in Terra che ogni giorno come un “papà” premuroso fa capolino dai telegiornali con le sue parole banali ma pontificali.

È che la cultura religiosa da noi fa il paio con l’anti-scientificità, con una cultura umanistica che snobba le STEM e procura voti ai leader che si proclamano donne, italiane e cattoliche o che nei comizi agitano rosari e vangeli e ostentano sui social madonne bianche, nere, ortodosse.

Ci crediamo o forse non ci crediamo, ma la sindrome dell’oratorio non ci abbandona, un prete al giorno toglie il diavolo d’intorno.

Di fronte ad esistenze sempre più precarie, minacciate dalle piaghe bibliche, c’è chi ha compreso che la religione è un ingrediente psicologico fondamentale per arginare sfiducia e disperazione: in virtù dell’ascientificità crescente dove ancora non è arrivata la scienza può arrivare la fede.

Così la ricorsività strisciante nei mass media televisivi della religione con i suoi ministri e le sue liturgie sembra appagare le ansie per l’incertezza del futuro, alimentando la fiducia che dove non arriva l’uomo arrivi la provvidenza divina in una costruzione della vita sempre verticale, piramidale che distoglie gli occhi dalla Terra per rivolgerli verso l’alto al sovrano del cielo affinché abbia pietà dei suoi sudditi.

In piena pandemia, un uomo solo sotto la pioggia fa la sua apparizione nel vuoto desolato di piazza San Pietro a sfidare con la preghiera il pragmatismo della ragione. Lo smarrimento laico profano convertito in sentimento religioso si fa sacro. La religione squarcia le tenebre, rompe il silenzio delle vite paralizzare dalla paura, la ragione si perde nei meandri delle liturgie.

Il dolore si fa suggestione di fede, panacea ai drammi umani, sfida alla mente che ragiona, che combatte contro i suoi limiti per superare sé stessa nell’incertezza della ricerca continua, mentre gli incensi annebbiano le meningi degli spettatori partecipi di un comune destino.

Tutto fa il giro del mondo, tutto è normale come non fosse una stregoneria, una favola che la ragione racconta a sé stessa per non provare la paura che ha di sé e della sua debolezza.

La Terra è sconvolta dall’insolenza irrazionale umana, ma c’è sempre la preghiera, perché non si sa mai che sia un castigo di Dio, val la pena invocare la sua misericordia, ma quale misericordia può avere un dio che genera simili castighi?

È incredibile, se non fosse preoccupante, da trattamento sanitario obbligatorio, che nel terzo millennio vestiti dei paramenti sacri eminenze della chiesa cattolica celebrino riti di antiche liturgie per invocare la pioggia a scendere abbondante a fecondare i campi.

Sono i costrutti mentali, le formae mentis che stanno alla base di un popolo che nutre simili pensieri che ci devono preoccupare, perché se quegli stessi costrutti mentali vengono impiegati per guardare alla realtà che ci circonda, per interrogarla e interpretarla, allora credo che sia assai difficile pensare di vivere in compagnia di cervelli lucidi, funzionanti, affidabili. E ancora più difficile pensare di vivere in un paese attrezzato per affrontare i problemi del nostro tempo e, dunque, i rischi che corriamo non sono di poco conto.

In questo paese soggetto alla sindrome da oratorio qualcuno dovrà pur dire dell’inganno mediatico che svolge la religione in un gioco continuo di rivincita dell’irrazionale sul razionale, fomentando ignoranza e abbondanza di emozioni cieche anziché la presa di coscienza di fronte alla realtà che non ha ragioni metafisiche ma la concreta spietatezza delle leggi di natura e delle conseguenze delle azioni umane.

Giovanni Fioravanti

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