Un militante di Rifondazione comunista ha postato -sul suo profilo Facebook- alcune foto con soldati russi che giocano al pallone con bambini ucraini in un territorio occupato. Ecco cosa fanno i soldati russi in Ucraina, ha commentato! Non sono così terribili, così senza cuore come i media occidentali vogliono fare credere: non sono dediti a stupri, a torture, a eccidi. Questo militante, ai tempi dell’infuriare della pandemia da Covid19, postava commenti contro gli stati –come l’Italia- che avevano inaugurato ormai uno stato di polizia con la scusa di un presunto virus pandemico.
Quelle foto dei soldati russi allegramente occupati a giocare con i bambini ucraini, mi hanno ricordato un episodio della seconda guerra mondiale.
A Cordovado (Friuli) i tedeschi si attestarono nella scuola elementare di fronte alla casa dove avevamo affittato due camere –al piano terra, la cucina e la camera da letto al primo. Avevamo lasciato Fiume durante il 1944 e il nostro appartamento nella caserma al confine con la Jugoslavia, diventata zona assai pericolosa per le famiglie dei militari.
Con alcuni amichetti e mia sorella una mattina entrammo nel cortile della scuola, nel retro dell’entrata principale alle aule, così per curiosare.
I tedeschi in un’aula avevano allestito la cucina, dalla quale usciva il profumo dei cibi in cottura. I soldati ci notarono e uno poco dopo uscì con qualche fetta di pane nero con sopra patate lessate e zucchero che ci offrì, muto. Con un sorriso.
Stavano perdendo la guerra e non disponevano più di grossi quantitativi vettovaglie militari e avevano quasi fame quanto noi. Noi quel pane, con quelle patate zuccherate lo disdegnammo perché ci avevano detto di non accettare nulla dai tedeschi occupanti.
Ma c’è un’altra narrazione, non di prima mano, non mia, ma della mamma. Partimmo una volta io, lei e la sorella da Fiume, con sosta dagli zii a Trieste e ripresa successiva del treno per Udine, dirette a Cervia o Rubiera (Reggio E.), scendemmo alla stazione di Ferrara per attendere la coincidenza e ci recammo al bar della stazione. Ad un certo punto entrò il babbo in divisa e io gli corsi incontro a braccia aperte. In un tavolino non lontano dal nostro sedevano alcuni ufficiali tedeschi e uno di loro si prese la testa tra le mani e pianse.
La contraerea tedesca colpì dei caccia alleati. Uno precipitò in campagna e i tedeschi catturano il pilota ancora vivo. Lo portarono nel piazzale della scuola depositandolo maldestramente a terra e poi gli ordinarono di alzarsi in piedi. Mia mamma – che aveva fatto il corso di crocerossina a Cervia – chiese all’appuntato della Guardia di Finanza che faceva l’interprete, di dire ai tedeschi che il pilota aveva la spina dorsale rotta e, quindi, non era in grado di assumere la posizione eretta. Chiese, con veemenza, all’appuntato di ricordare ai tedeschi la convenzione di Ginevra sulle regole di rispetto dei soldati feriti. L’appuntato supplicava mia mamma di non alzare la voce, perché i tedeschi si stavano arrabbiando e minacciavano di deportarla.
Questa è la guerra. I tedeschi delle fette di pane e patate lesse, i tedeschi degli eccidi commessi lungo la penisola, delle deportazioni degli ebrei, dei rastrellamenti di civili da deportare in Germania.
Una domanda: ma il comunista (presunto) del post in difesa di Putin conosce la guerra solo tramite immagini Tv di una parte e dell’altra? Oppure è in mala fede?
Arrivarono gli alleati a occupare sempre la scuola elementare. Prima gli americani che ci offrirono la loro preziosa cioccolata, che non ci era permesso di mangiarla a piacere perché veniva sciolta, rateizzata, nel latte della colazione.
Ma anche gli alleati avevano solcato i cieli sganciando bombe sulle case e sui civili inermi allo scopo di colpire i comandi tedeschi. Come la notte di Treviso, quando da Cordovado si vedevano i bagliori provocati dai bombardamenti che uccisero quasi duemila civili.
I rifugi erano i luoghi più frequentati dove la gente accorreva al suono delle sirene, ma succedeva che vi facessero la morte dei topi i per il contraccolpo di una bomba caduta nelle vicinanze.
Noi invece a casa riparavamo sotto le ali di legno della Necchi. Io da un lato mia sorella dall’altro. La macchina da cucire era stata collocata a ridosso del muro maestro per un calcolo azzardato: crollerà tutto intorno ma no quello. Pensava mia mamma.
A volte facevamo in tempo a correre nei campi: la mamma buttava nel fondo di un fosso una coperta, ci faceva scendere e poi ci copriva con il suo corpo. E che ci andasse bene.
Ma se Pippo mitragliava tutto si complicava, come quando con una ragazza di quattordici anni a cui ero stata affidata ci trovammo durante i mitragliamenti in aperta campagna.
A casa la mamma pensò al peggio.
Il cibo. Mancava, eccome. La mamma con la sua Bianchi si recava nelle campagne circostanti per tentare di scambiare zucchero dell’annona militare con qualche ovetto. Spesso i contadini negavano di avere delle galline, ma poi un gallo cantava e la mamma tornava arrabbiata commentando: “i friulani conoscano soltanto il dio palanca!”
La paura dei bombardamenti? I bambini hanno le paure degli adulti, non le proprie. L’angoscia di morte degli adulti per se stessi e per i figli viene memorizzata dai bambini senza la possibilità di una elaborazione riflessiva.
Una notte le persiane della finestra della camera da letto vennero colpite da diversi sassi, con accompagnamento di voci urlate in tedesco. La mamma aprì la finestra e vide due soldati tedeschi con elmetto, bombe a mano alla cintola, mitra indossati. Entrarono e fecero capire che volevano sapere dove era il marito. Mio babbo era in caserma a San Vito In Tagliamento. La mamma consegnò loro una sua foto in divisa. Scorsero la sciabola di alta ordinanza dietro l’armadio, l’afferrarono e uscirono. Il giorno dopo avevo la febbre alta e dissi che avevo avuto paura portassero via la mamma, perché nei giorni prima avevo visto caricare sul camion giovani uomini da portare in Germania.
Finita la guerra lasciammo Cordovado con un camion guidato da un autista diretti nell’Emilia reggiana. Ovunque case distrutte, o crivellate dalle mitragliate e sul greto del Po, nei paraggi di Ferrara, tanti soldati alleati che bivaccavano a lato delle jeep.
Fu poi il dopoguerra della ricchezza spavalda di chi, per esempio, aveva saputo approfittare del mercato nero, ma anche della caduta in miseria di tanti che, benestanti prima avevano perso tutto.
Molte case erano state occupare dagli sfollati che, spesso, non intendevano più riconsegnarle ai proprietari. Il lavoro mancava, i militari di carriera in congedo permanente non sempre riuscivano a riciclarsi in ambito civile e le loro famiglie facevano la fame o quasi. I danni di guerra venivano riconosciuti con grandi ritardi e in misura assai limitata. Le scuole avevano ripreso i loro ritmi normali, ma le famiglie cadute in ristrettezze economiche si appellavano alle tradizioni per giustificare, per esempio, la negazione alle figlie degli studi superiori: le femmine trovano un marito – si diceva- mentre i maschi necessitano di un mestiere per mantenere mogli e figli.
Noi bambini e bambine giocavamo “alla guerra”: a turno nel ruolo dei tedeschi o degli alleati. Senza sapere che lo psicodramma serve anche per superare i fantasmi spaventosi che le guerre incistano nelle menti infantili.
Questa è la guerra, espressione somma dell’aggressività predatoria e difensiva umana e che a differenza di quella animale si nutre della dialettica del potere. Ha ragione il teologo V. Mancuso: non si può eliminare la guerra, perché non si può espellere l’aggressività animale. Il “pacifismo” dovrebbe fare i conti con Eros e Thanatos, cercando di capire perché i conflitti armati hanno sempre visto in primo piano il gioco delle reciproche sopraffazioni tra i maschi. Piantare la bandiera sulle terra conquistate… conquistare con la violenza sessuale le donne. Violare la terra conquistata depredando e distruggendo, violentare le donne dei nemici, farne dei bottini di guerra…
Il “movimento pacifista” non ha mai saputo aprirsi alla riflessione sulle componenti, sulle varianti, sulle motivazioni delle guerre tra i popoli, insomma sulla psiche inconscia dei protagonisti guerrieri, strateghi, comandanti, politici… sui ruoli diversi che uomini e donne hanno avuto nei conflitti, sul perché le donne sono state (sono) vittime privilegiate degli scambi tra nemici.
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