Dice la più dogmaticamente immodificabile regola grammaticale della nostra lingua che “in italiano nelle concordanze prevale il maschile, come genere più nobile”. A me pare che essa violi l’art.3cost., e addirittura l’art.1: infatti la democrazia non ammette prevalenza tra cittadini/e; come del resto afferma l’art3cost. significativamente proposto durante i lavori della Costituente dalle deputate.
Come se nulla fosse e continuando ad affermare di essere una democrazia “rappresentativa”, sono frequenti le trasmissioni tipo talk show nelle quali si ascoltano solo voci maschili. Si dovrà scrivere una legge di iniziativa popolare e raccogliere le firme per poterla presentare?
Le normative in materia linguistica valgono poco; come si sa nelle lingue ciò che fa testo è l’uso.
Nelle istituzioni però vale il lodo Prodi Finocchiaro che impone il linguaggio inclusivo in tutte le comunicazioni istituzionali. Sarebbe utile una commissione che corregga tutte le comunicazioni ufficiali che non usino il linguaggio inclusivo.
Si obietta spesso che il femminile di sindaco prefetto ministro avvocato dottore ecc. ecc. non esiste: finché le donne sono state tenute nell’analfabetismo non esisteva nemmeno maestra, eppure senza le maestre o maestrine magari dalla “penna rossa” o senza le infermiere né scuole né ospedali potrebbero esservi e prosperare.
Se una parola che servirebbe non c’è, la si inventa, nelle lingue vive. Solo le lingue morte non possono inventare parole e l’italiano benché malaticcio non è ancora una lingua morta. Chi vuole che non muoia si sforzi di usare sindaca ministra questora prefetta direttora ecc. ecc. Farà pure una operazione socialmente utile, mostrando come il potere sia mal distribuito tra i generi e quanta parte di esso sia ancora sottratto alle donne. Diffondendo l’uso di neologismi al femminile si correggerà il poco invidiabile primato che fa dell’italiano la più maschilista delle lingue neolatine in paese cattolico, più dello spagnolo, francese, portoghese.