Papa Francesco nell’omelia pronunciata durante la celebrazione della Messa nella visita al cimitero militare francese, a Roma il 2 novembre, ha lanciato un appello ai fabbricatori di armi: “Queste tombe sono un messaggio di pace: fermatevi fabbricatori di armi, fermatevi!”. Ed ha rafforzato questo appello invitando tutti/e a lottare “perché non ci siano le economie dei Paesi fortificate con l’industria delle armi”.
La sua omelia è stata anche un’altra denuncia: “Questa gente, brava gente è morta in guerra. È morta perché è stata chiamata a difendere la patria, a difendere valori, difendere ideali e tante altre volte situazioni politiche tristi e lamentabili”. Le vittime della guerra sono “le vittime della guerra che mangia i figli della patria”.
Il Papa sembra accettare una distinzione fra guerre giuste ed ingiuste o condanna tutte le guerre? Difficile dirlo soprattutto perché ricorda le vittime ad Anzio, a Redipuglia, sul Piave e sulla spiaggia in Normandia, “49 mila in quello sbarco”.
Tanti buoni cattolici si trovano nella condizione del Papa di dover scegliere sull’uso della violenza a fin di bene, per finalità di difesa, per partecipare ad una azione collettiva o rifiutarne ogni forma anche a costo della vita.
Se per tutti vale il principio della legittima difesa non tutti sono concordi nel ritenere che la violenza non sia mai lecita. In realtà si devono fare alcune distinzioni. La violenza dello Stato che impone la pena di morte non è certo paragonabile a quella dello Stato che chiama alle armi. Certo il cittadino ha diritto di disobbedire se non condivide la scelta dello stesso Stato nelle finalità della chiamata alle armi. Analogamente il cittadino ha diritto di usare forme violente per ristabilire forme di convivenza civili fondate sulla libertà.
Questo principio vale per le rivoluzioni quando sono i sudditi a ribellarsi alle dittature. Non vale invece se l’uso della violenza è finalizzato all’imposizione di un governo non legittimato dalla volontà dei cittadini in uno Stato democratico.
Le distinzioni fra uso legittimo e non legittimo della violenza possono valere anche se si affronta il discorso dell’industria delle armi?