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Dio, lo stato e la scuola

Nel suo discorso in occasione della festa di Sant’Ambrogio, il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola è di nuovo tornato sul tema della laicità e del suo rapporto con la religione, come è ormai consuetudine, a cominciare dallo stesso papa, di importanti gerarchi della chiesa cattolica.

Le affermazioni dell’arcivescovo di Milano meritano di essere esaminate con particolare attenzione, anche perché egli è uno dei più autorevoli candidati ad occupare il soglio di Pietro dopo l’attuale pontefice. Purtroppo non disponiamo del discorso nella sua integralità e siamo costretti a commentarlo sulla base di quanto riportato dai giornali. Ma non crediamo, per questo, che sia impossibile cogliere il senso complessivo dell’intervento di Scola. Ancora una volta egli distingue fra una laicità sana che non rifiuta il pluralismo della società ma lo pone sotto l’ala protettrice della tradizione religiosa, e una laicità che degenera nel cosiddetto laicismo, perché trasforma la “giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato” in uno Stato integralmente secolarizzato, senza più alcun riferimento ai valori religiosi che, nel caso di Scola, non possono che essere quelli della tradizione cattolica. Tesi non nuova, più volta argomentata dallo stesso Benedetto XVI sulla scorta di giuristi e filosofi cattolici che negano allo Stato liberale la capacità di trovare in se stesso i propri fondamenti morali, a meno che non voglia trasformarsi in Stato etico ed imporre autoritariamente e arbitrariamente ai propri cittadini una morale del tutto secolarizzata. Insomma, secondo questa dottrina, lo Stato liberale o si fa assertore di un integrale relativismo morale o, per trovare un qualche fondamento etico all’autorità che è chiamato ad esercitare, finisce col rovesciarsi nel suo contrario, come è già accaduto nel giacobinismo per arrivare infine ai totalitarismi del novecento.

Naturalmente per Scola la via d’uscita da questo rovinoso dilemma non può che essere quella di ritrovare un rapporto positivo fra le istituzioni pubbliche e il sentimento religioso della vita, di riportare insomma Dio nel cuore delle istituzioni senza che questo significhi, si affretta ad aggiungere il cardinale, il ritorno allo Stato confessionale che impone con la forza della legge una determinata concezione religiosa e i valori morali che le sono connessi. Ma, nel pensiero di Scola, la aconfessionalità dello Stato non deve mai trasformarsi in una indifferenza verso Dio, in un laicismo alla francese che separa nettamente la religione dalla vita pubblica. Tuttavia, il senso profondo di questo discorso si svela quando il cardinale attacca la riforma sanitaria di Obama (e noi sappiamo che il rapporto dello Stato americano con le religioni è alquanto diverso da quello francese), poiché essa “impone polizze che includono contraccettivi, aborti e procedure di sterilizzazione”. Lo Stato americano, in realtà, non è estraneo ai valori religiosi, ma è ben consapevole del pluralismo religioso e anche morale che innerva le società aperte dell’Occidente e cerca, seppure fra molti contrasti e attacchi da parte della chiesa cattolica e del fondamentalismo evangelico, di offrire nuovi spazi di libertà a individui e gruppi un tempo discriminati ed emarginati dalle culture religiose maggioritarie. Lo Stato liberale non ha nessuna etica pubblica da imporre autoritariamente, dal momento che il suo compito è solo quello di garantire e proteggere la libera ricerca e realizzazione dei valori da parte dei suoi cittadini. La comunità liberale è tenuta assieme dal sentimento diffuso di una libertà che non è quella dell’individualismo chiuso in se stesso e ferocemente egoista, ma si alimenta piuttosto del reciproco riconoscimento delle differenze e dei diritti e doveri che necessariamente ne conseguono. Anche le religioni possono dare un valido contributo alla diffusione di questa etica civile che non ha nulla a che vedere con lo Stato etico, purché non pretendano di avere il monopolio della moralità e non tornino a considerare lo Stato come il braccio secolare attraverso cui imporla.

Si impone, a questo punto, anche il problema delicatissimo della formazione morale delle nuove generazioni e dell’atteggiamento che deve assumere in materia la scuola pubblica. Italialaica, nei mesi passati, ha discusso a lungo, con interventi appassionati e spesso polemici, il tema dell’insegnamento religioso nel nostro paese, dove esiste tuttora un monopolio cattolico conforme alle norme concordatarie. Si sono manifestati, in proposito, orientamenti molto diversi a cui abbiamo dato accoglienza proprio in nome di quel pluralismo che deve costituire per noi l’ossatura portante della società aperta per cui ci battiamo da sempre. I lettori possono leggere nella rubrica Forum una lettera del signor Daniele Civettini che accusa i “laicisti” di non rendersi conto del bisogno di certezze morali da parte dei ragazzi e di volersi rifugiare in un “silenzio perpetuo” o in un “comodo relativismo”, quando non cedono alla tentazione di una sorta di religione laica. Vorrei osservare che la scuola pubblica non è l’unica agenzia morale delle nostre società, che accanto ad essa ci sono molteplici organismi sociali e culturali, a cominciare dalla famiglia, che provvedono all’acculturazione, anche in senso morale, degli individui; ma non si può negare alla scuola pubblica, che deve accogliere e fare udire tutte le voci, anche quelle delle tradizioni religiose, il compito di offrire agli alunni quelle coordinate morali che consentono la sopravvivenza di una società libera e pluralista. Non si tratta di indottrinare, ma di aiutare a capire e a rispettare, e questa funzione non può essere certamente affidata a chi pretende, credente o ateo che sia, di avere il monopolio della verità. Educare alla cittadinanza non significa educare a una certa visione del mondo (ognuno è chiamato a farsela autonomamente), ma abituare a convivere in un ambiente sociale e culturale dove forse un relativismo ben inteso, non cinico e nichilista, può aiutare a superare i conflitti e a capire le ragioni degli altri, senza necessariamente condividerle.

Giovanni Fioravanti

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