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Dell’8×1000 e della sua radice

Si avvicina la scadenza della dichiarazione dei redditi e non fa male orientare un po’ l’attenzione sul perverso meccanismo dell’8 per 1000, che crea un’insopportabile situazione di favore (insieme ad una infinità di altre) alla chiesa cattolica.

Come funziona la faccenda? Ogni anno lo Stato crea un pozzo mettendo insieme l’8 per 1000 di tutte le contribuzioni fiscali relative all’Irpef, dopo di che distribuisce l’intera somma così ottenuta in proporzione al numero di scelte espresse dai contribuenti a favore delle confessioni religiose ammesse alla ripartizione (la chiesa cattolica in forza del concordato, le altre confessioni in forza delle intese, che altro non sono, in effetti, che concordati sanciti con apposita legge).

Il trucco sta nel fatto che si distribuisce l’intero pozzo assegnando a ciascuna confessione non la somma che deriverebbe dalla somma degli 8 per 1000 solo di quei contribuenti che hanno apposto la propria firma a favore di questa o di quella confessione, ma tutto il pozzo. Si tenga conto, peraltro, che gli 8 per 1000 dei vari contribuenti possono avere una consistenza anche assai diversa.

Così, mentre alla chiesa cattolica spetterebbe una certa somma derivante dalle firme espresse da un 35-40% dei contribuenti e un’altra piccola percentuale verrebbe distribuita alle altre confessioni, lasciando non assegnata la più grande fetta (più o meno il 60% dell’intero gettito), nei fatti la chiesa cattolica percepisce intorno al 90% dell’intero gettito, perché la sua percentuale risulta di gran lunga più elevata rispetto a quella delle altre piccole confessioni. Per rendere più chiaro questo meccanismo, facciamo il paragone con le elezioni. I seggi da assegnare sono un certo numero, che vengono tutti assegnati. Ogni partito se li accaparra in ragione della percentuale di voti ottenuti, indipendentemente dal fatto che, così come avviene, una larga percentuale di cittadini si astiene dal voto.

Il meccanismo del 5 per 1000, al contrario, non prevede la costituzione di un pozzo uguale al 5% dell’intero gettito dell’Irpef, e dunque distribuisce solamente le somme che si formano dalla sottoscrizione dei contribuenti.

Nel caso dell’8 per 1000 non si capisce perché le somme che derivano dalle firme non apposte da un enorme numero di contribuenti (abbiamo detto circa il 60%) non rimangano, come sarebbe logico, all’erario, che potrebbe spenderle per altri fini, specialmente nell’attuale momento di vacche magre. Anzi, si capisce perfettamente, perché questo perverso meccanismo è stato studiato proprio con l’intento di favorire sfacciatamente la chiesa cattolica.

La radice di questo favoritismo dello Stato verso la chiesa cattolica non è da riferire al concordato in quanto tale, ma al famigerato articolo 7. È del tutto ragionevole che lo Stato laico ricerchi accordi con le confessioni religiose a tutela delle loro ragionevoli peculiarità e che quindi stipuli con esse concordati e intese, o come altrimenti li si voglia chiamare, ed è altrettanto ragionevole che le protezioni siano stabilite in ragione del numero dei fedeli. Ciò che non è tollerabile è che lo Stato non abbia una postura di equilibrata equidistanza nei confronti di tutte le confessioni, come avviene per il cattolicesimo che gode della superprotezione costituzionale che lo pone in una posizione vertiginosamente più elevata delle altre confessioni.

La battaglia laica deve quindi concentrarsi non sul concordato, che, se non fosse “costituzionalizzato” e fosse invece tradotto in una legge ordinaria (come lo sono le intese), potrebbe essere emendato con facilità, anche unilateralmente, ma appunto sull’articolo 7. Si tratta di una revisione costituzionale, di un’impresa politicamente difficilissima ma, nel caso, tecnicamente semplicissima. Basterebbe abrogare sic et simpliciter l’articolo 7 e cassare dal secondo comma dell’articolo 8 l’espressione «diverse dalla cattolica», soddisfacendo così il dettato del primo comma  dello stesso articolo, che vuole che «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge». Finora il cattolicesimo è più libero, o disegualmente libero, rispetto alle altre e non perché sia la più grande minoranza.

L’articolo 7 è una vera e propria cessione unilaterale di sovranità dello Stato italiano a favore del Vaticano, un atto gratuito  che è un atto di sottomissione. La questione romana era già chiusa con i Patti lateranensi, che Mussolini non inserì nello Statuto albertino. Che ci guadagna l’Italia? Il Vaticano accampa un numero incredibile di privilegi resi intoccabili sul territorio italiano. Che cosa acquista l’Italia sul territorio del Vaticano? Non c’è la più pallida ombra di bilateralismo. Lo capirebbe anche un bambino che lo Stato italiano, di fronte al Vaticano, nel proprio ordine non è né indipendente né sovrana.

Giovanni Fioravanti

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