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Catalogna: si va oltre all’indipendentismo

Dopo poco meno di dieci anni in cui la politica della Catalogna era stata ossessionata dall’indipendentismo, ma oggi si parla anche di altro

Domenica scorsa si sono tenute le elezioni regionali nella regione spagnola della  Catalogna e, per la prima volta in quasi dieci anni, la campagna elettorale non è stata dominata dalle richieste di indipendenza.

Quest’anno, i candidati hanno avuto l’opportunità di concentrarsi su una varietà di problemi, tra cui la sanità, l’istruzione, la spesa pubblica e la grave siccità che ha colpito la regione negli ultimi mesi. Questo ha permesso di discutere e proporre soluzioni per diverse questioni cruciali per i cittadini catalani.

La campagna elettorale della Catalogna va oltre l’indipendentismo

Domenica in Catalogna si sono tenute elezioni anticipate: il presidente catalano Pere Aragonès ha sciolto il parlamento a marzo, poiché la maggioranza che lo sosteneva non era abbastanza solida.

I cittadini catalani sono chiamati a eleggere un nuovo parlamento, che nominerà un nuovo governo regionale: secondo i sondaggi non ci sarà un chiaro vincitore.

Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez (a sinistra) e il candidato Socialista in Catalogna Salvador Illa durante un evento elettorale (EPA/ANDREU DALMAU) – Italialaica.it

 

Questo significa che i partiti dovranno negoziare tra loro per formare un governo e se non riusciranno a trovare un compromesso, le elezioni potrebbero essere ripetute.

Nel parlamento regionale catalano ci sono 135 seggi: per raggiungere la maggioranza assoluta ne servono 68. Sempre secondo i sondaggi, il primo partito sarà quasi sicuramente il partito socialista catalano (Partit dels Socialistes de Catalunya, PSC, emanazione regionale del Partito Socialista) guidato da Salvador Illa.

Il PSC però è ben lontano dalla maggioranza: i sondaggi gli attribuiscono in media 40 seggi. Poco dietro c’è Junts per Catalunya (Junts, partito indipendentista di centrodestra) con 34 seggi, guidato dall’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont, ed Esquerra Republicana (ERC, indipendentista di centrosinistra) con 26 seggi, guidato dal presidente uscente Pere Aragonès.

Secondo i sondaggi i partiti della destra non indipendentista (Partito Popolare e Vox) hanno una decina di seggi ciascuno, mentre tutti gli altri ne hanno cinque o meno.

Questa grossa frammentazione fa sì che sia quasi impossibile, al momento, immaginare possibili alleanze di governo.

Se Salvador Illa e il PSC otterranno un risultato molto buono, potrebbe esserci un’alleanza “di sinistra” tra il PSC ed ERC; in caso contrario, potrebbe nascere un’alleanza “indipendentista” tra ERC e Junts, in cui Carles Puigdemont potrebbe tornare presidente. Ma appunto: una ripetizione delle elezioni perché nessuno avrà abbastanza seggi per governare non è da escludere.

Oltre alla frammentazione, l’altra grossa novità della campagna elettorale è stata che non si è parlato soltanto di indipendentismo.

Dal 2017, anno in cui i partiti indipendentisti catalani organizzarono un referendum per l’indipendenza, considerato illegale dallo stato spagnolo, la politica locale è stata dominata dalla questione dell’indipendentismo.

I media trattavano principalmente questo tema e i politici erano valutati in base alla loro posizione sull’indipendenza catalana.

Questa centralità dell’indipendentismo era comprensibile: il referendum del 2017 aveva causato profonde divisioni nella società, accentuate dalla dura repressione del governo spagnolo.

Tutti i principali leader separatisti furono imprigionati con accuse di sedizione e ribellione, e altri, come l’allora presidente catalano Carles Puigdemont, fuggirono dal paese.

Negli ultimi anni le conseguenze traumatiche del referendum e delle divisioni politiche successive si sono andate affievolendo.

Il governo del primo ministro Socialista Pedro Sánchez ha dapprima concesso la grazia ai leader separatisti, e negli scorsi mesi ha fatto approvare una legge per concedere l’amnistia a tutte le persone che hanno avuto problemi con la giustizia spagnola a causa del loro attivismo nel movimento per l’indipendenza: l’approvazione definitiva dell’amnistia dovrebbe avvenire entro la fine del mese.

In aggiunta, si è manifestata una certa stanchezza nei confronti della questione dell’indipendentismo, che nel tempo è diventata meno rilevante per molti catalani, soprattutto tra i giovani.

Questo non significa che il tema sia scomparso: circa un terzo dei catalani continua a sostenere l’indipendenza, secondo i sondaggi.

Tuttavia, questi numeri sono in calo e la maggior parte della popolazione ha ricominciato a interessarsi anche ad altre questioni.

La normalizzazione della campagna elettorale è stata favorita anche dal fatto che il candidato in testa nei sondaggi, il socialista Salvador Illa, propone di superare i traumi del passato, cercando di rappacificare e tranquillizzare la politica catalana.

“Dopo quasi un decennio di fortissimo stress in Catalogna, di grida, di furia e di momenti storici ogni settimana, arriva Salvador Illa con il cuscino, la coperta e pure la melatonina, se necessario”, ha scritto El Diario. Questo approccio ha contribuito a rendere il dibattito politico più normale.

Durante la campagna elettorale di queste settimane, si è discusso ampiamente di tasse e riforma fiscale.

La Catalogna è una delle regioni spagnole con la pressione fiscale più alta, in parte perché è una delle più ricche e produttive.

Quasi tutti i candidati hanno promesso di ridurre le tasse per i redditi più bassi e si sono impegnati a negoziare con il governo centrale per trattenere una parte maggiore delle tasse pagate dai catalani nella regione.

L’istruzione è stata un altro tema centrale, soprattutto dopo che i risultati dei test OCSE PISA hanno mostrato che gli studenti catalani hanno ottenuto alcuni dei peggiori risultati in Spagna, con un calo significativo rispetto agli anni precedenti.

Un altro tema centrale è stato l’ambiente: nei mesi scorsi, la Catalogna ha affrontato una grave crisi di siccità, la peggiore degli ultimi cento anni.

La scarsità di piogge, l’eccessivo sfruttamento dei fiumi per l’irrigazione dei campi e il turismo eccessivo, soprattutto a Barcellona, hanno aggravato la situazione.

Solo negli ultimi giorni, dopo due mesi di misure emergenziali, le piogge hanno permesso al governo locale di dichiarare la fine della siccità, che resta comunque una preoccupazione.

Durante la campagna elettorale, i leader dei partiti si sono accusati a vicenda per la crisi e tutti hanno promesso importanti interventi strutturali per aumentare le risorse idriche.

Naturalmente, l’indipendentismo è rimasto un tema centrale: Carles Puigdemont, leader di Junts, ha cercato di riportare l’attenzione su questo argomento.

Puigdemont, uno degli organizzatori del referendum del 2017, è fuggito all’estero per evitare la giustizia spagnola e vive ancora all’estero in attesa dell’entrata in vigore della legge sull’amnistia che gli permetterebbe di tornare in Spagna.

Per questo motivo, Puigdemont ha condotto tutta la campagna elettorale da Argelès-sur-Mer, una cittadina francese vicino al confine catalano.

Anche i partiti secessionisti (Junts ed ERC), pur continuando a promettere l’indipendenza della Catalogna, non hanno piani molto chiari su come ottenerla.

Junts ritiene che un forte risultato elettorale contribuirebbe a creare la pressione necessaria per organizzare un nuovo referendum indipendentista, ma ha piani piuttosto vaghi in merito. Anche ERC vorrebbe organizzare un referendum, ma concordato con il governo spagnolo.

Giulia De Sanctis

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