Non ha un suono familiare per il Vaticano: “Vorrei una Chiesa povera per i poveri”, ripete Francesco, il pontefice che non vuole pezzi d’oro ciondolanti e si mostra con una croce di ferro.
Quel suono può diventare un tormento per i porporati e monsignori che siedono intorno a milioni di euro liquidi. E chissà se quel tormento avrà provocato la furiosa reazione di due vescovi, Diego Coletti di Como e Luigi Bressan di Trento, durante la recente assemblea generale della Conferenza episcopale italiana: “Dove vanno quei 37 milioni di euro per le comunicazioni sociali?”. Nessuno ha spiegato. Nemmeno il presidente Angelo Bagnasco. Perché quei soldi, tanti, ricavati con l’otto per mille per la Chiesa cattolica, in parte andranno a finanziare Tv2000, la televisione diretta da Dino Boffo che non riesce a sopravvivere con lo 0,5 per cento di share. E chissà se quel tormento, ancora, avrà scosso la Santa Sede che vuole capire – attraverso una commissione – perché Radio Vaticana ha un disavanzo di 20 milioni di euro. E non sappiamo, però, se lo stipendio di René Brulhart, già consigliere di Tarcisio Bertone in Segreteria di Stato, sia giustificabile per un’impresa sinora mai compiuta: rendere più trasparente le finanze vaticane. Il tenebroso svizzero, che lavorava in Liechtenstein , dirige l’Autorità di antiriciclaggio (Aif) per 30.000 euro netti al mese più 5.000 euro per le spese, leggi voce privilegi, per i suoi nove-dieci giorni che trascorre a Roma ogni trenta. Brulhart fu raccomandato dal gentiluomo di sua santità, epoca Ratzinger, il tedesco Herbert Batliner, un benefattore di Santa Romana Chiesa beccato a evadere il fisco per oltre 250 milioni di euro. L’Aif è così efficace che per fare le ispezioni all’Istituto per le Opere religiose (Ior), la cassa infinita e segreta, deve chiedere l’autorizzazione. Quando Francesco ha messo in discussione l’esistenza del mitologico Ior, i cardinali avranno stretto il rosario fra le mani. Prima punizione: la commissione dei porporati, presieduta da Bertone, non riceve più il gettone di presenza. Per i laici, la pacchia continua.
UN CONSIGLIERE d’amministrazione, per un sacrificio che colpisce tre al massimo quattro volte l’anno, incassa 60.000 euro. Il vicepresidente, che dovrà scomodarsi il doppio, si ferma a 80.000. E il presidente, il tedesco Ernst Von Freyberg? In Germania, faceva buoni affari con la costruzioni di navi da guerra. In Vaticano, non ha raggiunto i livelli stratosferici di qualche stagione fa, prima di Ettore Gotti Tedeschi (che si accontentava di un onorario simbolico), ma viaggia sui 200.000 euro fra retribuzione ordinaria, indennità e autista. Già, le automobili. Un tema delicato per i porporati, che si fanno annunciare da berline di lunghezza sterminata con bandierine di ordinanza e vetri oscurati. Il parco auto vaticano dispone di una cinquantina di esemplari: soprattutto Mercedes di classe elevata e un gruppetto di Ford. Un paio di anni fa, un cardinale americano ordinò le connazionali Ford, che non danno lo stesso spessore e lo stessa autorevolezza dei tedeschi. Così i cardinali, in visita ufficiale o per pratiche private, pretendevano con tono perentorio di poter usufruire di una Mercedes. Ora che Francesco rifiuta di abitare nel sontuoso palazzo apostolico e non vuole nemmeno passare l’estate a Castel Gandolfo, i porporati sono assaliti da un senso di colpa e fanno a gara a procurarsi la Ford. Ci sono aneddoti che spiegano meglio di qualsiasi bilancio la gestione economica in Vaticano che, premesso, chiuderà in passivo anche il bilancio 2012, dopo aver ingerito un rosso di 15 milioni nel 2011. La rassegna stampa è un aneddoto di scuola. I cardinali che gestiscono i dicasteri vogliono e devono leggere: ricevono quattro pacchi al giorni di fotocopie, articoli di quotidiani, settimanali e riviste specializzate. Uno spreco di carta rilevante e di qualche migliaia di euro al giorno. Ma non si sono mai arresi a una piccola innovazione tecnologica: la posta elettronica, la mail. A proposito di carta, l’Osservatore Romano non se la passa bene, la svolta pubblicitaria non ha portato sollievo e la Santa Sede sta per imporre una riforma che, tradotto, vuole dire risparmi drastici. Perché in Vaticano, senza rivendicare miracoli, le cose si moltiplicano. Quando si rompe una lampada, il rigido protocollo dell’Apsa, la struttura che vigila sul patrimonio, si muovono tre operai. E si fa presto, giustificano in Santa a Sede, a contare 4.200 dipendenti che oscillano fra buste paghe di 1.500 e 4.000 euro netti. Una leggenda racconta che papa Giovanni XXIII, alla domanda di un monsignore inesperto di Curia che voleva sapere quanti fossero i lavoratori in Vaticano, rispose: “La metà”. Il Vaticano non farà licenziamenti, anche se il personale incide per oltre 100 milioni di euro. Quando eleggono il papa, ciascun dipendente riceve 1.500 euro. Con Bergoglio è andata male: quei soldi sono finiti ai poveri. Stavolta per davvero.