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Benedetto XVI e l’azione del Diavolo

La notizia, della morte dell’ex pontefice, è stata data da “La repubblica” con come vistoso sottotitolo, l’affermazione di monsignor Georg: “Ho sentito l’azione del diavolo contro di lui”. Scalfari, cioè il fondatore di tale quotidiano, aveva anni fa curato un volumetto dal titolo Attualità dell’illuminismo: si tratta di un’attualità ormai superata, o nell’illuminismo c’è posto anche per il diavolo?

Si può ben pensare, considerando altre affermazioni del monsignore, che a suo giudizio il diavolo ha invece avuto motivo di essere meno attivo nei confronti del successivo pontefice; ma mi parrebbe, un giudizio discutibile. Almeno se quanto alla Chiesa consideriamo, oltre a ciò che essa chiede per il mondo, anche ciò che chiede per sé. Voglio dire che un conto è prendere posizione ed invitare a determinati interventi, su generali questioni politiche, economiche, sociali: come le guerre, la povertà… (e con gli interventi cui invita l’attuale pontefice mi accade, non di rado, di trovarmi d’accordo).

Altro conto è che la Chiesa chieda, allo Stato, provvedimenti in favore della medesima. Come -per parlare del nostro paese e limitarci al campo economico- con la ben nota quota dell’8 per mille, nell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

Una quota che l’attuale Concordato prevede venga, dalle dichiarazioni su tali redditi, destinata o allo Stato o alla Chiesa cattolica (in seguito lo Stato ha esteso il meccanismo, ad altre confessioni religiose): e che ha ricevuto critiche soprattutto perché alla Chiesa la quota viene attribuita non solamente per le dichiarazioni, che scelgono la Chiesa stessa. Ma, in proporzione al numero di queste ultime, anche per le dichiarazioni che nessuna scelta fanno.

Una critica però, più radicale -la quale tiene conto di quanto risulti singolare che presentando allo Stato una dichiarazione dei redditi, ci si trovi a scegliere di destinare una quota dell’imposta allo Stato medesimo- può delinearsi dal confronto- con una diversa via percorsa per collegare alla dichiarazione dei redditi, un finanziamento per soggetti religiosi.

Parlo della via (ho già avuto modo di accennarvi, su Italialaica) della Germania; Stato cui dall’Italia spesso guardiamo col rispetto che millenni fa, portava a dire Roma locuta est; ma su cui in questa materia è prevalente un pudico silenzio. Cosicché appare davvero apprezzabile la descrizione che, al riguardo, ha fatto anni fa Famiglia cristiana e dalla quale trarrò alcune citazioni.

Ebbene in Germania l’imposta sul reddito delle persone fisiche è destinata, integralmente allo Stato. Le si può poi aggiungere un contributo, “dell’8-9%” dell’imposta stessa, destinato alla “comunità religiosa o di tipo filosofico” della quale si dichiari di fare parte. Lo Stato, cioè, si comporta semplicemente da intermediario: e non gratuitamente, giacché procede ad “una piccola decurtazione per le spese di gestione”.

Insomma se in Italia si parla di atei devoti, in Germania si danno atei che potremmo dire opportunistici in quanto dimenticano la propria fede religiosa allorché, al momento della dichiarazione dei redditi, andrebbero incontro ad una spesa supplementare.

Famiglia cristiana correttamente la collega, tale via percorsa in Germania, ai principi della Repubblica di Weimar che garantiscono “l’autonomia delle chiese a fronte del finanziamento diretto da parte dei fedeli”. Per l’Italia invece -aggiungiamo noi- una volta finito il fascismo, non ripresero vita i principi precedenti.

Per tornare a papa Ratzinger, questi non ha davvero guardato a tale normativa del proprio paese di origine, per proporre una normativa analoga nel nostro paese. Ma neppure papa Bergoglio ha tratto, dal proprio profilo per vari aspetti diverso da quello di Ratzinger, ragioni per proposte del genere.  In definitiva, quanto al diavolo, bisognerebbe sapere contro cosa più precisamente egli entra in azione: e se vi entra soltanto quando la Chiesa chiede qualcosa per sé, il suo carico di lavoro non risulterà diminuito con l’attuale pontefice.

Giovanni Fioravanti

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