La Nona Sinfonia di Beethoven compie 200 anni
Da quando aveva 23 anni Beethoven aveva elaborato nella sua mente la composizione, costruendola completamente in astratto prima di trascriverla sullo spartito, senza mai poter sentire una nota, un timbro o un insieme di suoni.
Anche in quella serata, sul palco, era riuscito a percepire solo alcune vibrazioni delle note basse e delle percussioni. Le singole parti, così come le armonie e i contrappunti, non riuscivano a superare la barriera fisica imposta da un destino particolarmente crudele che lo aveva separato dalla musica, essenza della sua vita.
Beethoven non è stato un genio soltanto perché era sordo, il che di per sé sarebbe già notevole. La sua genialità è stata anche alimentata dalla sordità, che lo ha costretto a “sentire” ciò che non poteva udire.
La Nona sinfonia si trova nell’Olimpo del repertorio di tutti i tempi, maturazione totale e inarrivata del ciclo sinfonico. L’ultimo movimento dura tanto quanto l’intera prima sinfonia, di 24 anni anteriore, che aveva gettato sconcerto tra il pubblico e tra i critici perché per la prima volta iniziava con un accordo dissonante.
I più malevoli la presero per stramberia, non cogliendone la forza anticipatrice, così come molti consideravano errori imputati alla sordità quelle innovazioni armoniche e strutturali che invece anticipavano la nuova musica, portata dal classicismo verso il romanticismo, con contenuti che si distaccavano per originalità a un’età definita sbrigativamente come quella di “Haydn, Mozart e Beethoven”.
Giunto al vertice del suo percorso artistico-espressivo, l’orchestra sinfonica non gli bastava più e la integrò col coro e con i solisti per rilanciare i versi di Friedrich Schiller dell’Inno alla gioia, introdotti in partitura da un pensiero di Beethoven in appena undici toccanti parole.
La Nona sinfonia in re minore è nota come “Corale”, dal quarto movimento, con un tema apparentemente semplice che procede per gradi congiunti, di bellezza cristallina e sublime profondità anche a prescindere dal significato delle parole di Schiller.
Ma tutto ciò che c’è all’interno di quest’opera rivela la lunghissima gestazione che l’ha originata: lo stesso spartito lo denota, perché contrariamente alla prassi compositiva di Beethoven le cancellazioni, le correzioni, i rimandi e i cambi sono pochissimi.
Il genio di Bonn, Beethoven, aveva un approccio alla musica nettamente diverso da quello di Mozart, il maestro di Salisburgo: Mozart era capace di scrivere musiche complete dal principio alla fine, fluendo direttamente dalla mente al foglio, mentre Beethoven seguiva un processo più riflessivo e meno immediato.
Tuttavia, questo non rendeva Beethoven meno spontaneo. La musica di Mozart, melodiosa e fluida, si presta a essere cantata per intero, diversamente dalle sinfonie di Beethoven, caratterizzate da un linguaggio più complesso e profondo.
Mentre Mozart tendeva a distaccarsi dalle tribolazioni della vita nelle sue composizioni, Beethoven attingeva direttamente dalla realtà vissuta, esprimendo attraverso la musica le sue esperienze, le emozioni e le sofferenze.
Inoltre, Beethoven era consapevole del suo status di genio, una consapevolezza che lo portava a sfidare l’aristocrazia che lo evitava nonostante la sua fama e il prestigio del “van” fiammingo nel suo cognome.
Utilizzava la sua reputazione per ottenere commissioni da conti, duchi e principi, sapendo che la loro memoria sarebbe sopravvissuta grazie alle sue opere. Richiedeva compenso per includere nomi nelle sue partiture, una pratica che rifletteva il suo rifiuto di subire le umiliazioni che invece avevano afflitto Mozart.
Beethoven era un uomo sfuggente agli affetti e agli amori, un artista che pur nuotando nell’arte dei suoni, non poteva immergersi completamente per via della sua sordità.
Il compositore aveva cercato di plagiare il nipote Karl, malinterpretando il concetto di benevolenza. La sua vita privata era segnata da un disordine cronico: in 35 anni cambiò ben 32 case, alcune delle quali affittate contemporaneamente. Si narra che, alla sua morte il 26 marzo 1827 nella casa viennese, quest’ultima venne saccheggiata dai cacciatori di ricordi e reliquie.
Beethoven era solito scrivere appunti ovunque, persino sugli stipiti delle porte, in un caos organizzato che non riusciva a dominare, al contrario delle sue composizioni. Circola la leggenda che su alcuni assi di legno fossero state annotate le melodie della sua inesistente Decima sinfonia.
Un’altra leggenda narra che superare il numero nove nelle sinfonie portasse sfortuna, una credenza scaturita dopo la Nona di Beethoven. Antonín Dvorak concluse il suo ciclo sinfonico con la Nona, “Dal nuovo mondo”, e non proseguì oltre, Gustav Mahler iniziò la Decima ma morì prima di completarla, mentre Dmitrij Šostakovič, invece, non si lasciò intimidire da tali superstizioni e ne scrisse ben quindici.
Se un giorno venisse lanciata una navicella nello spazio per stabilire un contatto con gli alien, e se in quella missione intergalattica si decidesse di includere un distillato della cultura umana, non potrebbe mancare la Nona Sinfonia di Beethoven.
Quest’opera si affiancherebbe a capolavori come la Commedia di Dante e la Gioconda di Leonardo. La Nona è universalmente riconosciuta, spesso ascoltata in frammenti brevissimi: negli spot pubblicitari, come inno dell’Unione Europea, nei film, in televisione, nelle suonerie dei cellulari, su internet e alla radio.
Questa sinfonia, nata due secoli fa, ha continuato a percorrere le strade del mondo, veicolando e celebrando i valori universali dell’umanità e il suo desiderio di gioia.