Come cambia, a volte, il senso delle parole! Come addirittura si sdoppia in significati antitetici! Davvero eloquente il caso, del relativismo.
Il quale tradizionalmente viene inteso come l’indirizzo di pensiero, che nega l’esistenza di una verità assoluta. Ritiene cioè che occorra distinguere tra giudizi di fatto e giudizi di valore. Rientra fra i primi -faccio un esempio, spicciolo- affermare che fra Roma e Parigi vi è una distanza stradale di tot chilometri: basta infatti chiarire le specifiche modalità della rilevazione, perché l’affermazione risulti esatta o no. Se però si afferma che una delle due città va bene per viverci e l’altra no, giacché il clima politico di una città è preferibile a quello dell’altra, il discorso riguarda non più l’alternativa fra esattezza ed inesattezza; ma l’alternativa, fra bene e male.
Il relativismo nega dunque (seguo il filo della classica impostazione, di Kelsen) che i giudizi di valore debbano sottostare ad una verità assoluta. Ne consegue che la libertà di pensiero ed espressione, delle singole persone, va rispettata e tutelata: giacché manca appunto un pensiero superiore -come una religione, con i suoi dogmi- al quale si debba rendere conto. Rispetto a tale libertà poi, la libertà dei comportamenti risulterà sì inevitabilmente limitata: giacché la vita sociale impone delle regole. Però le leggi, in cui queste regole si esprimono ed a cui porta un libero ed utile confronto fra i diversi valori, vengono pur sempre ad attenuare tale limitazione, perché decise a maggioranza e perché in futuro è una maggioranza che potrà divenire, minoranza.
Se è questo -nella sintesi, che ho provato a tracciare- il relativismo tradizionale, più recentemente è anche con un altro significato che si sente parlare di relativismo: ad esempio in recensioni le quali presentano come schierato contro il relativismo, il recente libro di Giuliana Sgrena: Donne ingannate. Il velo come religione, identità e libertà. Adesso il relativismo significa -per rifarci appunto, a tale sintesi- astenersi da critiche nei confronti di istituzioni, società, culture, ben distanti da quelle che corrispondono (almeno in buona misura) al relativismo tradizionale.
Con questo nuovo relativismo, insomma, si rifiuta non di scegliere determinati valori come verità assoluta. Bensì di scegliere, fra da un lato situazioni non improntate ad una verità del genere. Dall’altro situazioni in cui tale verità (sotto forma di una religione) tiene il campo ed in cui, a cascata, ecco conseguenze opposte a quelle cui il relativismo tradizionale porta. Nessuna tutela cioè troviamo, per le libertà personali; colpite anzi rispetto non soltanto, a ciò che si pensa, ma anche a ciò che si è -il sesso-. Nessun confronto vediamo consentito, fra diversi valori. Infine, le leggi non esprimono alcun rapporto fra maggioranze e minoranze: rappresentando una monolitica proiezione, della verità assoluta.
Mi pare dunque che neppure sia il caso di chiedersi, se la laicità stia di casa nel relativismo tradizionale; che in primo luogo significa tutelare la libertà, dei vari modi di pensare. Oppure in un relativismo, che tale libertà la abbandona al peggior destino.