Due recenti sentenze, della Corte Suprema degli USA, hanno toccato nodi classici del rapporto fra politica e religione: la sentenza sulle scuole a carattere religioso e la sentenza sull’aborto. Mi occuperò della prima, giacché ha avuto minor risonanza. Ma converrà cominciare con alcune considerazioni, di tipo generale, su tale Corte.
Si potrebbe infatti pensare che essa corrisponda in grande misura alla Corte Costituzionale, del nostro paese; ma ci si sbaglierebbe. In primo luogo, la Corte Suprema è nella Costituzione degli Stati Uniti indicata soltanto come il vertice, del potere giudiziario: la competenza cioè -evidentemente, ulteriore- di valutare cosa risulta conforme o no alla Costituzione, se l’è attribuita da sé durante i più di due secoli trascorsi dal varo di tale Costituzione. In Italia invece è la Costituzione che dà vita, ad una Corte Costituzionale con una competenza del genere.
In secondo luogo, si diventa giudice della Corte Suprema per nomina da parte del Presidente degli USA, confermata dal Senato. È sufficiente quindi che il Senato abbia, anche a maggioranza di un solo voto, lo stesso colore politico del Presidente, perché di “checks and balances” si avverta una notevole scarsità. In Italia, invece, la Corte Costituzionale è designata per una terza parte da un organo di garanzia, quale il Presidente della Repubblica; è designata per un’altra terza parte, dal parlamento nel suo complesso (con voto di almeno 3/5 dei componenti); è designata per la terza parte residua, dalle magistrature ordinaria ed amministrativa.
Infine, mentre per la Corte Costituzionale la carica dura 9 anni, per la Corte Suprema è a vita: un suo giudice -dice una vecchia battuta- mai si dimette e raramente muore! Più precisamente, secondo la Costituzione degli USA i giudici conserveranno la carica “finché manterranno buona condotta”; nulla però precisa, su tale requisito (e chissà se pensano di averlo rispettato quei giudici i quali hanno votato a favore della recente sentenza sull’aborto, dopo aver dichiarato un orientamento opposto nelle audizioni in Senato che hanno portato a confermarli).
Ma veniamo a ciò che la Corte Suprema -la quale, peraltro, si è caratterizzata nella storia degli Stati Uniti anche per sentenze di taglio diverso rispetto a questa, sull’aborto- ha deciso in materia di scuola. Ha ritenuto incostituzionale una normativa dello Stato del Maine con cui, per i distretti scolastici che non offrano possibilità di frequentare scuole secondarie pubbliche, si dispongono finanziamenti alle scuole private che vengano, di conseguenza, frequentate. Finanziamenti dai quali sono però escluse, le scuole a carattere religioso.
Sul sito del quotidiano “Avvenire”, leggiamo che secondo la Corte una normativa del genere “viola il diritto allo studio”. In realtà, la Corte non è su questa critica che si basa (sarebbe, d’altronde, una base fragile: non mi risulta che si possa parlare per gli USA di un diritto allo studio, così come se ne può parlare per l’Italia). Si basa piuttosto sull’argomento, che negli USA uno Stato ha libertà di scegliere se finanziare o no scuole private; ma che una volta fatta la scelta dei finanziamenti, viene ad una discriminazione se ne esclude le sole scuole a carattere religioso.
Devo dire che non mi pare, un ragionamento clericale. La situazione cui si riferisce corrisponde a quella che, se consideriamo l’Italia e spostiamo il discorso dalla scuola all’università, avremmo con finanziamenti pubblici previsti per la LUISS cioè l’università della Confindustria, ma non per l’università Cattolica. In effetti se ciò cui il Maine mira è non favorire un insegnamento, di tipo dogmatico, il dogmatismo potrà sì sul piano religioso essere favorito dal riferimento, ad enti soprannaturali; ma esiste anche su altri piani.
Ad esempio accade in economia di imbattersi in dogmatismi di tipo collettivista, di tipo liberista…. Resta sempre attuale, per un discorso sul dogmatismo, l’opera di John Stuart Mill, “La libertà”; che ho sottomano nel testo delle edizioni Piero Gobetti, del 1925. L’autore vi viene indicato, come Giovanni Stuart Mill: non manca infatti, un dogmatismo di tipo nazionalista.