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Cultura

Gianfranco Ravasi, una fede extraterrestre, Il Sole 24 Ore

Keplero, scardinando con Copernico il geocentrismo, s’era convinto dell’esistenza di una pluralità di mondi abitati. Kant l’aveva seguito senza esitazione e il mistico svedese Emanuel Swedenborg nel Settecento ne aveva, a suo dire, raccolto i messaggi spirituali a tal punto da fondare una sorta di religione che ha ancor oggi una sua espressione nella “Swedenborg Foundation” di West Chester in Pennsylvania. Questa deriva si sarebbe allargata a delta, a partire dal 1947 fino ai nostri giorni con l’ingresso degli Ufo e le relative stravaganti attestazioni destinate a generare le “religioni ufologiche” come i Raeliani e le loro bizzarre teorie sugli ‘elohîm extraterrestri. Per non parlare poi dei rapimenti di terrestri a opera di navi spaziali pilotate da esseri simili a ectoplasmi e così via in una sfrenata creatività di testimonianze bislacche naturalmente confluenti in un filone cinetelevisivo di grande successo.
Si configurava, così, un orizzonte pseudoscientifico-teologico nel quale si versavano tesi reincarnazioniste, olismo quantistico, fantastronomia, esoterismi vari, paranormale e stati psicofisici preternormali, esperienze di morte apparente in una miscela imbandita in altrettanti contenitori da immettere sulle bancarelle digitali di Internet. Certo, ci fu anche l’intervento della scienza vera che aprì il capitolo dell’esobiologia e avviò quel progetto Seti («Search for Extraterrestrial Intelligence») che da oltre un quarantennio cerca -finora invano – di captare segnali radio provenienti dal cosmo e indizi di forme di vita intelligente extraterrestri. Noi, però, non stiamo ora interessandoci di questa fenomenologia per ragioni sociologiche o scientifiche, ma per un approccio squisitamente teologico cristiano. Prescindendo, quindi, dalla probabilità dell’esistenza di altre forme di vita intelligente nell’universo, cosa che non cozzerebbe né con la scienza né con la tradizionale teologia naturale, la nostra domanda punta invece al cuore della teologia cristiana che è dominata dalla figura di Cristo, il Dio che diventa uomo in questo mondo e che conduce l’umanità limitata e peccatrice alla redenzione. È quella che tecnicamente è chiamata l’ “Incarnazione”. A chi volesse inoltrarsi in un simile capitolo della teologia che genera curiosità e ogni tanto affiora a livello anche giornalistico, noi suggeriremmo innanzitutto la sintesi che un teologo-scienziato, Giuseppe Tanzella-Nitti, ha approntato in una voce storico-teorica “Vita extraterrestre” del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (Città Nuova – Urbaniana University Press, 2002, vol. I, pagg. 591-605). Ora, però, si è aggiunto un saggio vero e proprio che considera il tema come una “sfida alla fede cristiana”: autore è un docente di teologia presso la LudwigMaximilians-Universität di Monaco, Armin Kreiner, che solletica la curiosità dei lettori con la pur scontata domanda: «Siamo soli nell’universo?». Dopo aver raccolto tutto il dossier “ufologico” e averlo posizionato sull’asse cristiano, raccogliendo la massa enorme di materiali eterogenei che sostanziano quel fascicolo, egli affronta la questione capitale che è nel titolo, ossia Gesù e gli alieni, proponendo una cristologia in prospettiva cosmica, consapevole di increspare le acque teologiche e di creare “irritazioni cristologiche”. La sua tesi è, tutto sommato, abbastanza semplice: se vogliamo accogliere la sfida lanciata alla teologia cristiana dall’eventuale esistenza di un’umanità extraterrestre dobbiamo rielaborare il concetto classico di “Incarnazione”, liberandolo dal suo nesso esclusivo col peccato umano che verrebbe per questa via redento. Dovremmo, invece, impostarlo sulla tesi di san Bonaventura e Duns Scoto per i quali l’Incarnazione è la pienezza del rapporto tra Dio e il mondo iniziato con la creazione. Detto in altri termini, Dio entra nell’umanità non tanto per la contingenza della scelta peccatrice della creatura libera, quanto piuttosto per portare a compimento il suo progetto creativo globale e il suo legame con le creature, in particolare quella umana. In questa linea l’Incarnazione diverrebbe non più una realtà storica singolare, ma si sfrangerebbe in tante epifanie quante sono le eventuali umanità disperse nell’universo o nel multiverso astrofisico. Cadrebbe, così, l’unicità di Cristo che si potrebbe moltiplicare in una sorta di diversi avatar. Non è difficile immaginare l'”irritazione” – ed è un eufemismo – che tale concezione produce nella cristologia classica. Non per nulla l’editore italiano ha premesso al saggio di Kreiner un’introduzione critica di un altro docente, Andrea Aguti dell’università di Urbino, che punta – oltre ad alcune contestazioni nei vari passaggi argomentativi dello studioso tedesco – al centro cristologico nodale. Ed è qui che egli oppone alla pluralità indipendente dalle manifestazioni di Dio una differente proposta che ricentra il tutto nell’evento Cristo. Esso, pur essendo “puntuale”, a causa della sua matrice trascendente non avrebbe solo un valore “localistico” ma cosmico, come suggerisce per altro l’apostolo Paolo: «È piaciuto a Dio che abiti in Cristo tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato col sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Colossesi 1,19-20; la tesi è ribadita in Efesini 1,10 ove Cristo è visto come l’asse “capitale” che unifica e salva l’intero essere). Si avrebbe, quindi, come dicono i teologi, una cristologia “inclusivista” che coordina nell’evento dell’Incarnazione tutta la relazione tra Creatore e creazione, la quale può avere modi espressivi diversi che le differenti religioni del nostro pianeta e le ipotetiche differenti umanità extraterrestri riflettono. Tanto per proporre un parallelo squisitamente cristiano: la celebrazione della Messa applica in tempi e luoghi diversi i frutti di un unico evento storico salvifico, la morte e risurrezione di Cristo, senza moltiplicarlo, e questo è possibile perché in quell’evento storicamente “unico” è in azione Dio che è eterno e infinito e può, quindi, estendersi con la sua azione in tutto il tempo e lo spazio.
Giovanni Fioravanti

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