Sconto di pena di 312 giorni a un detenuto di Sollicciano per “trattamento inumano e degradante”. Questa è la motivazione con la quale il Tribunale di sorveglianza di Firenze, con un’ordinanza del dicembre scorso, ha preso questa decisione
“Trattamento inumano e degradante”. Questa è la motivazione con la quale il Tribunale di sorveglianza di Firenze, con un’ordinanza del dicembre scorso, ha riconosciuto uno sconto di pena di 312 giorni a un detenuto del carcere di Sollicciano subito dall’uomo durante i circa otto anni di detenzione. Il ricorso è stato presentato dalla sua legale ed è stato accolto ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Delle condizioni del carcere più grande della Toscana, ha parlato anche il procuratore generale Ettore Squillace durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario a Firenze. A Sollicciano sussistono “gravissimi problemi dal punto di vista edilizio e del mantenimento delle condizioni climatiche al suo interno” e igieniche, dove è stata riscontrata la presenza di cimici.
Le dichiarazioni
“L’ordinanza dell’ufficio di sorveglianza che prevede lo sconto di pena per il detenuto a causa delle pessime condizioni del carcere crea ora un precedente pesante – ha detto il segretario generale del sindacato della polizia penitenziaria Osapp Leo Beneduci –. Dalle nostre informazioni altri duecento detenuti nel carcere di Firenze Sollicciano vogliono fare lo stesso tipo di ricorso, sicuri di vincerlo a questo punto. Ma a tale provvedimento potrebbero presto associarsi altre centinaia se non migliaia di detenuti, tenuto conto della fatiscenza e dell’incuria di almeno il 70% delle carceri italiane”.
Per il segretario generale di Osapp, in questo modo un numero rilevante di detenuti sarebbero “restituiti alla libertà con larghissimo anticipo e appare inutile sottolineare come ciò mini alle fondamenta i presupposti dell’emenda e del recupero sociale delle pene da scontarsi nell’attuale ed ormai inadeguato sistema penitenziario italiano, oltre a costituire un grave problema in termini di ordine pubblico”.
I ricorsi
Come si può ben intuire, la decisione ha innescato centinaia di ricorsi da parte di detenuti che denunciano di trovarsi da diversi anni in condizioni inumane nel loro carcere e per questo chiedono sconti di pena. In poco tempo è quindi partito l’effetto domino creato dal precedente giudiziario. Oltre duecento reclusi nell’istituto di Sollicciano, che da anni secondo le denunce di enti sindacati e associazioni versa in condizioni fatiscenti, hanno fatto lo stesso ricorso. Quella della situazione degradante non può non fare venire in mente la situazione che sta vivendo Ilaria Salis in Ungheria.
Anche lei ha denunciato, in questi mesi di detenzione, una situazione degradante: dall’essere tormentata nei primi tre mesi dalle punture delle cimici da letto (che le creavano una reazione allergica) all’essere costretta a restare per cinque settimane con vestiti e biancheria sporche. Oltre a tantissime cose che hanno indignato non solo il nostro paese.
Cosa dice la legge?
Ma, appunto, cosa dice la legge? Il divieto di tortura o di trattamenti o pene inumani o degradanti è riconosciuto come un diritto di fondamentale importanza ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani e ribadito in tutti i principali strumenti internazionali che si occupano di diritti civili e politici, come nell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Il divieto, di cui all’art. 3 della CEDU è l’unico divieto della Convenzione non soggetto ad alcuna limitazione o deroga.
Inoltre, sebbene la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani o punizioni (UNCAT) fornisca una definizione di tortura, non esiste una definizione di trattamento disumano o degradante o di punizione che sia accettata a livello universale. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) fornisce almeno una linea guida sebbene la prassi decisionale della Corte sia cambiata nel tempo. Sulla base del livello di gravità del maltrattamento, la Corte distingue tre concetti vietati dall’Art. 3: (i) tortura, (ii) trattamento disumano o punizione e (iii) trattamento inumano o punizione.
Il trattamento disumano
Da ricordare come il concetto di trattamento disumano e punizione è il meno sviluppato dei tre concetti (trattamento degradante, trattamento disumano, tortura) che individuano le diverse forme di maltrattamento. Inoltre, spesso è difficile identificare l’esatta linea di confine tra le diverse forme di maltrattamento, in quanto ciò richiede una valutazione del grado di sofferenza che può dipendere dalle particolari circostanze del caso e dalle caratteristiche della vittima specifica.
Secondo la giurisprudenza della CEDU, i componenti che consentono di stabilire se un particolare trattamento costituisce tortura o trattamento disumano o punizione sono diversi: la gravità del trattamento, il fatto che venga inflitto in modo intenzionale, l’intensità del dolore, l’arbitrarietà della violenza, la finalità vietata, la durata del trattamento e il livello di crudeltà dell’atto. La corte non ha classificato questi esempi come esaustivi, la definizione del criterio di finalità vietata della tortura della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti crudeli, disumani o punizioni (UNCAT) non è l’unico fattore decisivo.