Il futuro dell’archiviazione dei dati è sott’acqua, lo dimostra l’incredibile esperimento (riuscito) di Microsoft risalente a qualche anno fa.
Era il 2014 quando Microsoft annunciava al mondo di essere al lavoro su un progetto innovativo, ribattezzato Project Natick. Di cosa si tratta? Il colosso dell’IT ha voluto provare a immergere sott’acqua un intero data center, per studiarne il funzionamento a lungo termine e gli effetti dell’ambiente circostante sui computer e sui server. Al termine dell’esperimento, quando nel 2020 è stato recuperato il gigantesco cilindro a largo delle isole Orcadi, arcipelago scozzese, i risultati ottenuti hanno fatto scalpore.
“Secondo i dati da noi rilevati, la percentuale di errori è un ottavo di quella che abbiamo sperimentato sulla terraferma”, aveva dichiarato ai microfoni della BBC il coordinatore del progetto, Ben Cutler. Dopo una delicata operazione di pulizia per rimuovere le alghe, le conchiglie e gli anemoni che si erano depositati sulla superficie, si è scoperto che il data center funzionava ancora particolarmente bene. Alla luce di quanto rilevato, gli esperti concordando sul fatto che per il settore questo tipo di tecnologia rappresenti il futuro.
Dati archiviati sott’acqua? Microsoft indica la via: gli innumerevoli vantaggi del Progetto Natick
Avevano fatto il giro del web, nel 2020, le immagini del curioso cilindro bianco di Microsoft recuperato dopo due anni dalle gelide acque del mare del Nord, a largo delle isole Orcadi, in Scozia. Si trattava del data center protagonista del Progetto Natick, risalente al 2014, grazie al quale il colosso dell’informatica ha potuto comprendere meglio il funzionamento dei server e dei computer sott’acqua e soprattutto ha dato una spinta in questa direzione al mondo dell’archiviazione dati.
Ma quali sono i vantaggi di un’operazione di questo tipo? Innanzitutto non viene sfruttato il suolo in superficie, in parole povere si riesce a risparmiare parecchio spazio. E non solo, perché si risparmia sui tempi di costruzione di un edificio appositamente dedicato ad ospitare i server. E poi c’è il fattore temperatura. Il surriscaldamento dei computer e dei server è tenuto sotto controllo grazie al freddo dell’acqua.
Infine, la percentuale di errori e malfunzionamenti pare sia nettamente inferiore rispetto a quella registrata sulla terraferma. Secondo gli esperti si tratterebbe di una conseguenza diretta dell’assenza di personale in carne e ossa nel processo di gestione. Insomma, quello di installare sul fondo del mare i grandi server è una soluzione che rappresenta il futuro.