Si svolge oggi a Roma la prima udienza del processo a carico di quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore ucciso al Cairo nel 2016 sul cui corpo furono rinvenuti segni di tortura. Sono molto le persone giunte fuori dal tribunale romano per portare sostegno ai familiari del giovane ucciso e chiedere “verità per Giulio Regeni”. Infatti, il processo prende il via dopo un percorso tortuoso a causa dell’irreperibilità degli imputati e dell’ostruzionismo dell’Egitto. Nel procedimento potrebbero essere chiamati a testimoniare ex premier, ex ministri, e funzionari che hanno ricoperto, all’epoca dell’omicidio, ruoli apicali nei servizi di sicurezza e alla Farnesina.
Nel processo sono chiamati a giudizio il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamal e Uhsam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif. Per loro le imputazioni variano dal concorso in lesioni personali aggravate, all’omicidio aggravato fino al sequestro di persona aggravato.
Nel dibattimento si è costituita parte civile la Presidenza del Consiglio che ha chiesto, in caso di condanna degli imputati, un risarcimento di 2 milioni di euro. L’Avvocatura dello Stato, nell’atto di costituzione a parte civile, ha parlato di “un orrendo crimine” che “ha colpito profondamente la comunità nazionale, per le incomprensibili motivazioni e per le crudeli modalità di esecuzione”.
Regeni, assassinato tra fine gennaio e inizio febbraio del 2016 al Cairo, era un dottorando dell’università di Cambridge e si trovava in Egitto per fare alcune ricerche sui sindacati. Il 25 gennaio è stato sequestrato e il suo corpo è stato trovato una settimana dopo in una strada nella periferia del Cairo con contusioni e fratture: tutte le dita delle mani e dei piedi erano rotte, e aveva segni di bruciature di sigarette e coltellate. Evidenti segni di tortura. Ma ricostruire l’accaduto è sempre stato molto difficile anche a causa della mancata collaborazione delle autorità egiziane. Gli investigatori hanno seguito la pista dell’omicidio politico legato al lavoro del ricercatore. In Egitto governa in maniera autoritaria il generale Abdel Fattah al Sisi, nel Paese tutte le attività associative che non sono sotto il controllo dello Stato sono sorvegliate e viste con sospetto, compresi i sindacati.
Le autorità egiziane, compresi i servizi segreti, hanno negato qualsiasi coinvolgimento e fornito diverse versioni per spiegare la morte di Regeni. Prima hanno parlato di un incidente stradale, poi di un omicidio avvenuto nell’ambito di una relazione omosessuale e persino di un regolamento di conti tra trafficanti di droga. Le ricostruzioni sono state però smentite dalle indagini, nonostante i molti tentativi di depistaggio delle autorità egiziane.
Il governo egiziano ha continuato a fare ostruzionismo per anni con conseguenze anche sui rapporti diplomatici del Paese con l’Italia, tanto che nel 2016 il governo di Matteo Renzi decise di richiamare l’ambasciatore italiano in Egitto (nel 2017 il governo di Paolo Gentiloni ne nominò uno nuovo). Nel 2020, infine, la procura di Roma ha chiuso l’inchiesta rinviando a giudizio quattro agenti dei servizi segreti civili egiziani. In risposta, i magistrati egiziani hanno annunciato che non avrebbero collaborato e si rifiutandosi di fornire all’Italia informazioni importanti per confermare le accuse e anche i contatti degli agenti incriminati.
Il processo si è aperto formalmente il 14 ottobre del 2021, ma si è subito fermato a causa dell’assenza in aula degli imputati e della mancata notifica degli atti processuali. La situazione si è poi sbloccata a dicembre del 2023 con l’intervento della Corte Costituzionale. In base a quanto stabilito dalla Consulta, per procedere con il processo, è sufficiente che gli imputati, così come già accertato, siano a conoscenza dell'”esistenza” del procedimento. La decisione ha permesso di superare l’ostruzionismo messo in atto dalle autorità egiziane.
Le parti processuali hanno depositato alla prima Corte d’Assise la lista testi chiedendo di convocare a piazzale Clodio per il dibattimento. Tra i testimoni c’è anche l’attuale presidente della Repubblica egiziana, Abdel Fattah al-Sisi. Tra le persone “citate” e sui quali dovranno esprimersi i giudici anche l’ex premier Matteo Renzi e l’ex ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni,oltre a Marco Minniti, ex responsabile della autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, i tre capi dei servizi segreti che si sono succeduti nel tempo e l’allora segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni e l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi.
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